Lo scorso 16 aprile, sono scaduti i termini per poter avanzare richieste di autorizzazioni al nuovo impianto per l’anno 2018. Ripercorriamo brevemente la vita di questo sistema di gestione del potenziale viticolo che, dal 1° gennaio 2016, ha sostituito il regime dei diritti di impianto. Nella prima annualità di applicazione, sfruttando al massimo il potenziale disponibile, sono state messe a disposizione autorizzazioni per 6.376 ettari da impiantare a vite, a fronte delle quali sono pervenute richieste superiori a 67.000 ettari.

Nel tentativo di arginare le richieste e di razionalizzare la distribuzione delle autorizzazioni, che ovviamente è risultata molto frammentata, il Mipaaf nel gennaio del 2017 ha apportato alcuni correttivi al sistema. Il risultato, però, non è stato quello auspicato: nel 2017, infatti, a fronte di una disponibilità di appena 6.600 ettari, le richieste di autorizzazione all’impianto si sono attestate poco sotto i 164.000; solo in Veneto e Friuli Venezia Giulia sono state richieste autorizzazioni per quasi 120.000 ettari. È superfluo ricordare il legame causale tra tali richieste di impianto e il grande successo che stanno vivendo sui mercati internazionali le denominazioni del Prosecco, nonché l’elevata redditività che ne consegue per i produttori di tali zone. Al fine di arginare i fenomeni «speculativi» di trasferimento delle autorizzazioni da una regione a un’altra, ormai alquanto diffusi nel nostro Paese, il decreto ministeriale pubblicato il 13 febbraio 2018 ha posto una serie di ulteriori vincoli e condizioni alle richieste di autorizzazione all’impianto. Fonti ministeriali affermano che le richieste per il 2018 si attestano intorno ai 60.000 ettari. Certamente non è poco, ma questo dato rappresenta il minimo storico dal momento di avvio del sistema. Tuttavia, è difficile definirlo un successo, perché nelle regioni dove la richiesta era risultata particolarmente elevata le Amministrazioni hanno stabilito un tetto massimo per domanda anche di 1 solo ettaro, che in molti casi verrà ulteriormente decurtato in ragione dell’esubero di richieste. In tali situazioni il malcontento dei produttori diviene evidente, e anche abbastanza comprensibile, ma ad oggi la normativa europea non permette alcun tipo di flessibilità nella gestione del sistema.

Cosa fare?

A livello nazionale si è avviato il dibattito per capire che tipo di strumenti sarebbe opportuno richiedere all’UE, al fine di riuscire a gestire al meglio il nostro potenziale viticolo. Il primo elemento da tenere in considerazione, che vede una certa convergenza nel mondo produttivo, è la necessità di scongiurare una liberalizzazione degli impianti, visto l’effetto catastrofico che la liberalizzazione ha avuto in altri settori (latte e zucchero). Proprio in ragione di tale considerazione, e della tenacia con cui la Commissione europea aveva sostenuto la necessità di liberalizzare gli impianti nel 2015, da un primo confronto con le organizzazioni di altri Paesi europei è emerso il timore di una liberalizzazione, che sembra prevalere sulla volontà di aggiustare il sistema per poterlo gestire al meglio. D’altro canto, va segnalato che la Commissione UE ha in più sedi dichiarato che, con la riforma della Pac, metterà mano anche al sistema delle autorizzazioni, pur mantenendone l’assetto generale, nonché la percentuale massima di impianto all’1% della superficie nazionale. Alla luce di tali progetti di revisione, per quanto ancora fumosi, dichiarati dalla stessa Commissione europea, il settore vitivinicolo italiano deve al più presto individuare e proporre delle soluzioni percorribili che, nel mantenere in piedi il sistema di gestione del potenziale, permettano al contempo di risolvere le problematiche di quelle zone in cui i
produttori vorrebbero rispondere alle sollecitazioni del mercato e, di fatto, oggi non hanno la possibilità di farlo.


Tratto dall’articolo pubblicato su Vite&Vino n. 2/2018
Nuovi vigneti: migliorare il sistema
di V. Sourin